lunedì 18 maggio 2009

Paese che vai, Libertà che trovi...


L’italia, ce lo ricorda Freedom House, è un paese a rischio democratico.

Per evitare confusioni, a costo di sembrare pletorici, l’organizzazione cui si fa riferimento NON ha nulla a che vedere con il partito di Berlusconi.

O forse sì…?

Freedom House, fondata nel ‘41 dalla moglie del presidente F.D. Roosvelt, è un istituto di ricerca statunitense che da oltre 60 si è assunto l’onere di valutare, a partire dalla lettura e dall’ascolto dei principali network informativi, lo stato di democraticità di ogni paese.

Dal 1980 un settore di studi interno all’organizzazione si è specializzato nell’esaminare, in 195 paesi, il relativo grado di libertà cui gode la stampa .

Risultato: il 36% dei paesi esaminati risultano liberi, il 33 % sono da considerare non liberi, mentre i restanti 61 Stati (il 31% del totale) vengono classificati come partly-free.

L’Italia ha ottenuto un discreto piazzamento. Con il nostro 72° posto, a pari merito con le Isole Tonga (dove gli unici network sono le brochure pubblicitarie dei resort locali) siamo un paese semi libero.


Prima di noi vengono il Benin ed Israele, ma stacchiamo Timor Est e Montenegro di 5 lunghezze. Il Burkina Faso, sotto di ben 13 posizioni, ci guarda ammirato…


Secondo Karin Karlekar, la ricercatrice che ha coordinato lo studio, la retrocessione dell’ Italia, unico paese in Europa a non essere libero, ha un nome e si chiama Silvio Berlusconi.

“Il suo ritorno nel 2008 al posto di premier ha risvegliato i timori sulla concentrazione di mezzi di comunicazione pubblici e privati sotto una sola guida” ci spiega la Karlekar.

Altri fattori dichiarati come concause di questa condizione di semi libertà (non insultabile) sono: l’abuso di denunce per diffamazione contro i giornalisti e l’escalation di intimazioni fisiche da parte della criminalità organizzata.

Se poi i tre fenomeni (le denunce per diffamazione, la mafia e Berlusconi) siano tra loro correlati, Freedom House non ce lo dice.

Tuttavia

A pensar male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina…”

Ci insegnava, tanti anni fa, un mafioso prescritto che stipendiamo a vita…

sabato 9 maggio 2009

Alla riscoperta del bio. Gli ORTI SOCIALI

La cooperativa Agricoltura Nuova getta il cuore oltre l’ostacolo e crea gli ORTI SOCIALI BIO.

In via castel di leva, al civico 131, la cooperativa Agricoltura Nuova ha ristrutturato un casolare ed ha messo a disposizione i terreni per coltivarli biologicamente attraverso la forma partecipativa degli orti sociali.
Qualcuno dei lettori ricorderà nella puntata di Report sul nucleare, la striscia goodnews che parlava di una cascina milanese. Si raccontava l’esperienza meneghina di alcuni cittadini che tentavano un recupero in extremis del rapporto con la natura. Non c’entrava per nulla l’Arcadia. Era semplicemente buon senso.
Gli orti sociali in effetti sono una sana miscellanea di nuovo e di vecchio. Nati durante la seconda guerra mondiale, per sopperire alle carenze alimentari che soffocavano la popolazione, si sono replicati nelle cinture cittadine e sono sopravvissuti sino ad i nostri giorni. Non è difficile trovare, in prossimità di aree urbane poco curate, che siano svincoli stradali o parchi in stato di abbandono, piccoli fazzoletti di terra coltivata. Si tratta principalmente di soluzioni agricole ad uso collettivo, messe in atto da minoranze poco integrate, che sostanzialmente coltivano i terreni per ragioni di sussistenza.
L’esempio invece della puntata di Report, cui si faceva cenno, si muove verso un’ altra direzione.
La strada che si vorrebbe perseguire è quella di un sincretismo, o meglio un innesto di postmoderno sul passato. Alla mera sussistenza succedono valori immateriali, come la ricerca di un equilibrio personale, che partono da quanto di più materiale vi sia. La terra. Ed allora dalla coltivazione di questi orti, con pratiche biodinamiche e pertanto in armonia con la natura, si ricava cibo sano. E rapporti, con gli altri produttori/consumatori, di scambio e collaborazione. Rapporti umani.
Tutto questo agricoltura nuova, supportata dall’esperienza ultradecennale dei suoi sostenitori, lo sostiene da tempo. E ce lo insegna. In appuntamenti come quello di venerdì scorso.
Il primo maggio, in collaborazione con l’Associazione Acqua Sole Terra e con la presenza di vari attori istituzionali, si è svolta l’inaugurazione degli “orti sociali bio”. Si è trattato di un’iniziativa che, da locandina, già prometteva “la possibilità di misurarsi, nei cento orti previsti, con l’affascinante sfida dell’agricoltura biologica”.
E’ stato un passaggio molto apprezzato, di apertura e partecipazione, che reca con sé una serie di fattori innovativi. Innanzitutto, ci spiegano, una drastica riduzione della filiera produttiva, tale per cui il consumatore stesso si fa produttore. Poi la possibilità di apprendere e mettere in atto pratiche di coltura biologica. La riscoperta di una certa socialità, fatta di legami comunitari e solidaristici. In ultimo, ma non per ultimo, l’ occasione di un ritorno al contatto con la natura, nelle vesti di una campagna appena fuori dalla cinta del GRA, ancora, speriamo per molto, incontaminata. Vale la pena di farci un salto o quanto meno di visitare il sito agricolturanuova.it, per scoprire, grazie anche alla felice partecipazione del conservatorio S. Caterina, che non finisce qui…